4 mesi, 3 settimane e 2 giorni

La discussa Palma d’oro all’ultimo festival di Cannes ha portato all’attenzione del pubblico internazionale questo austero film del rumeno Cristian Mungiu, che con realistica meticolosità racconta il tragico viaggio di due ragazze nel mondo dell’aborto clandestino, ai tempi della dittatura di Ceausescu. Otilia e Gabita sono due studentesse che abitano in uno squallido dormitorio dell’Ateneo.

Gabita è rimasta incinta e Otilia, fidanzata con il figlio di due docenti universitari, accetta di aiutarla a sbarazzarsi del bambino indesiderato. Inizia così la loro odissea, complicata dal fatto che – chiusa nel suo dolce e un po’ ottuso egoismo – Gabita mente ripetutamente anche all’amica, caricandola di sensi di colpa e lasciando a lei il compito di risolvere ogni difficoltà. Sulla base di una scelta stilistica un po’ rigida, ma efficace, Cristian Mungiu mette in scena un film caratterizzato da lunghi piani sequenza: ora silenziosi e ora invasi da dialoghi costruiti in modo molto naturalistico. La protagonista di 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni (il riferimento è all’età del feto che deve essere espulso) è Otilia, l’amica. La cinepresa la pedina nella ricerca di un albergo dove fare l’intervento e al primo appuntamento con il medico che ha accettato di farlo. Scruta il suo volto mentre costui spiega i dettagli della sua pratica abortiva.

Evidenzia il tragico stupore con cui Otilia ascolta (e subisce) la richiesta del dottore di arrotondare il suo compenso con frettolosi servizi sessuali di entrambe le ragazze. La segue nella casa del fidanzato, la cui madre festeggia proprio quella sera il compleanno in compagnia di due coppie di amici e colleghi. E, infine, torna con lei nello squallido hotel dove Gabita si è infine sgravata e, sempre prigioniera del proprio egotismo, è scesa con rinnovato appetito al ristorante. Tutto qui. Quello che ne sortisce è un film che guarda al rigore etico di Robert Bresson e s’inserisce nel solco tracciato dai dolenti percorsi urbani di alcuni film di Aki Kaurismaki. Un’opera esplicitamente autoriale, anche se non sempre in grado di risolvere in modo unitario tutte le proprie ambizioni.

Mungiu firma una pellicola che vuole essere insieme storica (come eravamo ai tempi di Ceausescu) e d’intervento sociale (la condanna dell’aborto clandestino, ma anche la sua oggettiva tragicità), senza rinunciare alla propria autonomia cinematografica. Ed è proprio in quest’ultima direzione che ottiene i suoi risultati migliori, sia per quanto riguarda la definizione dei personaggi e l’ottima direzione degli attori, sia per la costruzione figurativa dello spazio insieme naturalistico e fantastico nel quale Otilia finisce col trovarsi inesorabilmente prigioniera. Metafora della Romania degli anni Ottanta? Probabilmente.

Ma è intorno al suo tema centrale, l’aborto, che il film di Mungiu risulta meno convincente, riuscendogli difficile conciliare la descrizione implacabilmente oggettiva (sia a parole, sia nei fatti) della pratica abortiva con le sollecitazioni a una reazione emotiva dello spettatore, evidenziate soprattutto nel lunghissimo primo piano del feto abbandonato nel bagno, che diventa così quasi un corpo estraneo (un effetto speciale) in un film che sino ad allora aveva scelto di privilegiare esclusivamente lo sguardo e le reazioni emotive delle sue protagoniste.

4 mesi, 3 settimane e 2 giorni

(4 luni, 3 saptamani si 2 zile, Romania 2007)
Regia e sceneggiatura: Cristian Mungiu
Fotografia: Oleg Mutu
Scenografia: Mihaela Poenaru
Costumi: Dana Istrate
Montaggio: Dana Bunescu
Interpreti: Anamaria Marinca (Otilia), Laura Vasiliu (Gabita), Vlad Ivanov (signor Bebe), Alexandru Potocean (Adi), Ion Sapdaru, Teodor Corban, Tania Popa, Cerasela Iosifescu, Doru Ana, Eugenia Bosanceanu, Marioara Sterian.
Distribuzione: Lucky Red
Durata: un’ora e 53 minuti

(di Aldo Viganò)

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