“Ormai sono vecchio – dice il cinquantenne Aki Kaurismaki – e non posso più permettermi di realizzare delle schifezze”. Cosa che in realtà, il regista finlandese non ha mai fatto, neppure quando in gioventù dava libero sfogo alla sua vena musical-goliardica, mettendo in scena la presa in giro di Stallone (Rocky VI) o le giocose variazioni sul tema della fuga in film folli in cui tutti si chiamano Frank (Calamari Union) o viaggiano dalla tundra agli Usa con improponibili ciuffi impomatati sulla fronte (Leningrad Cowboys Go America).
In fondo, Kaurismaki restava sempre un autore di talento: inventivo e originale, sempre spiazzante e animato da un autentico piacere di fare del cinema. Negli ultimi anni, poi, ritornato in patria dopo le fugaci esperienze anglo-francesi, Kaurismaki sembra aver trovato la via per una personalissima sintesi delle tre anime che contraddistinguevano la sua filmografia precedente: l’amore per i classici (da Dostoevskij a Robert Bresson, da Shakespeare a Jean-Luc Godard), quello per la comicità surreale (da Buster Keaton a Tati) e quello per gli individui prigionieri di una società che condanna alla solitudine, già portato in primo piano in capolavori quali Ariel o La fiammiferaia. Da qui, il tono dolente e insieme ironico di film quali Nuvole in viaggio o L’uomo senza passato.
Da qui, anche quello stile asciutto, quasi da cinema muto, ma sempre straordinariamente moderno che si ritrova puntualmente in tutte le opere della sua maturità, sino a questo Le luci della sera, che cita Charlie Chaplin e che si dipana narrativamente lungo il sentiero del cinema “noir” di genere. Come sempre accade nel cinema di Kaurismaki, più dei fatti conta il modo in cui questi si concretizzano sullo schermo. Ed ecco che il ritratto di un uomo “qualunque” – irretito da una “dark lady” dai biondi capelli per conto della mafia russa, coinvolto suo malgrado in una rapina, processato e condannato, più volte massacrato di botte in un mondo inesorabilmente ostile e malvagio – diventa la complessa, divertita e divertente, narrazione dell’odissea umana nella difficile arte di sopravvivere, di trovare comunque il modo continuare a essere se stessi.
Eppure, tutto sembra congiurare contro Koistinen, guardiano notturno di un centro commerciale di Helsinki: i compagni di lavoro lo deridono; la città vista dalla cinepresa di Timo Salminen appare un universo astratto e lunare, abitato da gentili anime solitarie (la venditrice di hot dogs) o da pericolosi boss in limousine. Anche l’amore sembra un sogno impossibile in quei bar deserti e silenziosi o in quelle livide strade che sembrano uscire da un quadro di Edward Hopper. E’ in questo contesto fisico e morale che Kaurismaki accompagna e osserva il suo protagonista.
Con partecipazione e con distacco, insieme. Con dolore e con ironia. Forse anche con la consapevolezza che non è più tempo di scherzare – e di “mettere in scena delle schifezze” – ma contemporaneamente con l’intima gioia di fare del cinema, di affidare alle inquadrature il compito di dare comunque un ordine al mondo e ai raccordi di montaggio quello di cadenzarne il significato in forma di stile. Piccolo gioiello di un’idea di cinema che appare in via di estinzione, Le luci della sera non è forse un film perfetto, ma è un’opera che possiede la virtù di scaldare il cuore ai “cinéphiles”.
Le luci sulla città
(Laitakaupungin valot, Finlandia 2006)
Regia, sceneggiatura e montaggio: Aki Kaurismaki
Fotografia: Timo Salminen
Musica: Melrose
Scenografia: Markku Pätilä
Costumi: Outi Harjupatana
Montaggio: Thelma Schoonmaker
Interpreti: Janne Hyytiäinen (Koistinen), Maria Heiskanen (Aila), Maria Järvenhelmi (Mirja), Ilkka Koivula (Lindström), Vesa Häkli (gangster), Arturas Posdniakovas (russo), Aarre Karén, Tommi Korpela, Juhani Niemelä, Kati Outinen.
Distribuzione: Bim
Durata: 78 minuti
(di Aldo Viganò)