Manuale d’amore

C’era una volta la commedia all’italiana. Con tutto il suo cinismo etico e attoriale, ma anche con la sua capacità di andare sino in fondo alle situazioni e a graffiare in profondità le convenzioni del costume nazionale. Era un cinema che si costruiva essenzialmente per situazioni e che si articolava per sequenze, anche per questo capace di esprimersi al meglio sia nel lungo che nel cortometraggio, tanto da trovare nel filone del film a episodi un suo vitale sotto-genere, soprattutto quando questi episodi portavano la firma di un solo regista, che li articolava come variazioni su un unico tema.

Quel cinema oggi non esiste più. Soffocato da una realtà italiana sempre meno “risibile”; negato dal venir meno di un sistema produttivo e dal silenzio forzato dei grandi sceneggiatori; forse anche reso impossibile dalle variazioni del gusto post-televisivo. Sporadicamente, però, qualcuno – orfano del “genere” che meglio di ogni altro seppe dare identità al cinema italiano – ci prova a resuscitarla quella commedia. Ed ecco quindi Manuale d’amore da un’idea di Vincenzo Cerami – sceneggiatore di lungo corso – e per la regia di quel Giovanni Veronesi che la commedia (non necessariamente “all’italiana”) aveva già sperimentato con esiti alquanto discontinui.

Quattro episodi a tema (L’innamoramento, La crisi, Il tradimento, L’abbandono), quattro storie indipendenti solo occasionalmente intrecciate tra loro: il giovanotto disoccupato che con tenacia riesce a conquistare e sposare la ragazza benestante di cui si è innamorato a prima vista; la coppia d’intellettuali borghesi che consuma tra languidi sospiri la propria crisi matrimoniale; la vigilessa che, tradita del marito, torna a casa solo dopo di aver trascorsa una notte con l’ammirato conduttore televisivo; il pediatra abbandonato dalla moglie che forse si ricostruirà un nido con la sorella del protagonista del primo episodio.

Tutto sul filo di un fondamentale ottimismo esistenziale; con lo sguardo della cinepresa sempre complice e affettuoso nei confronti di personaggi che finiscono così col diventare lo specchio consolatorio dello spettatore, piuttosto che l’inquietante proiezione sotto il segno del comico delle sue contraddizioni. La commedia all’italiana è davvero lontana da questo Manuale d’amore. Almeno quanto invece gli sono vicini le pubblicità dei cellulari o gli sceneggiati dei pomeriggi televisivi. Il problema non è tanto quello dei contenuti e forse neppure quello della recitazione degli attori (anche se la mancanza dei protagonisti “di una volta” si sente, eccome!); ma soprattutto quello del punto di vista di una messa in scena pur formalmente elegante, ma nello stesso tempo incapace di prendere le distanze dalla propria materia narrativa.

Una regia che, come accade oggi a tanto cinema italiano, sembra sempre più votata a identificarsi con l’ideologica superficialità dei personaggi, piuttosto che penetrarvi narrativamente all’interno per fare esplodere, magari con una risata, le loro superficiali contraddizioni. E con simile atteggiamento, come ben dimostra la storia da Aristofane a Dino Risi, passando per Molière e Goldoni, non si può proprio fare commedia, neppure “all’italiana”.

Manuale d’amore
(Italia, 2005)
regia: Giovanni Veronesi
Soggetto: Vincenzo Cerami
Sceneggiatura: Ugo Chiti e Giovanni Veronesi
Fotografia: Giovanni Canevari
Musica: Paolo Buonvino
Scenografia: Luca Gobbi
Costumi: Gemma Mascagni
Montaggio: Claudio Di Mauro
Interpreti: Carlo Verdone (Goffredo), Silvio Muccino (Tommaso), Luciana Littizzetto (Ornella), Sergio Rubini (Marco), Margherita Buy (Barbara), Jasmine Trinca (Giulia), Dino Abbrescia (Gabriele), Dario Bandiera (Piero), Anita Caprioli (Livia), Rodolfo Corsato (Alberto), Sabrina Impacciatore (Luciana), Luis Molteni (avvocato di Goffredo)
Distribuzione: Filmauro
Durata: 110 minuti

(di Aldo Viganò)

Postato in Recensioni, Recensioni di Aldo Viganò.

I commenti sono chiusi.