“L’intrusa” di Leonardo Di Costanzo

di Aldo Viganò.

Autore a quasi sessant’anni del suo secondo lungometraggio, Leonardo Di Costanzo, nato a Ischia e abitante tra Napoli e Parigi, conferma, cinque anni dopo “L’intervallo”, il suo talento per la costruzione dello spazio cinematografico entro il quale i personaggi vanno a definirsi attraverso le proprie azioni. Là erano le stanze e il giardino abbandonati di una villa usata come carcere dalla camorra, qui si tratta di una masseria (una casa, qualche baracca, un’officina improvvisata e un piccolo orto) gestita da un’associazione di volontariato operante in accordo con una scuola della periferia partenopea.

Alla guida dell’associazione c’è Giovanna: interpretata con efficace sobrietà da Raffaella Giordano, coreografa e docente, già vista al cinema nel ruolo della madre di Leopardi nel film di Martone. È lei che concede a una ragazza con due figli di risiedere in una baracca della masseria, senza sapere che si tratta della moglie di un camorrista, il quale ha ucciso per uno scambio di persona il marito di un’abitante del quartiere. L’intervento della polizia rende pubblico il fatto. E per tutti si apre allora un problema: che comportamento assumere nei confronti dell'”intrusa”, la quale pur dimostra di non voler avere nulla a che fare con i parenti del marito?

Coerentemente con lo stile scarno ed essenziale del film, De Costanzo porta il “problema” a una soluzione inevitabilmente sobria e perbene, ma non è certo questo il merito maggiore del film, il quale va invece tutto individuato nello stile, che coincide con lo sguardo della cinepresa con cui si definisce lo spazio entro il quale le cose accadono. Si tratta di uno sguardo oggettivo e senza divagazioni inutili, che si potrebbe forse definire “rosselliniano”. Uno sguardo, che va ben al di là del mondo un po’ da sacrestia laica che concorre a definire, sino alla fin troppo ovvia festa finale, con retrogusto amaro. Nel film, quello che veramente conta è la realtà rappresentata che De Crescenzo tende appunto a far coincidere con l’oggettività degli sguardi, i quali costruiscono un film forse inevitabilmente piccolo, ma comunque fatto d’immagini corrispondenti a ciò che intendono raccontare. Ciò che interessa al regista è infatti la costruzione di un microcosmo mai improvvisato. Quindi anche sempre molto scritto e programmato. Assolutamente bel definito nelle sue scelte visuali.

Se tutto questo non fa di “L’intrusa” un grande film, certo contribuisce a proporlo comunque come un film pregevole proprio per le sue scelte di fondo che a modo loro concorrono a definire anche una nuova via del cinema italiano che, con serietà e tenacia, sembra voler ripartire proprio dalle radici di un nuovo realismo. Un realismo che, pur incapace ancora di porsi i grandi interrogativi, cerca almeno di rifondarsi attraverso le scelte dello sguardo su un reale che torna a risultare un mistero da scoprire: sia con i travelling a seguire che caratterizzano un film rispettabile come “L’equilibrio” di Vincenzo Marra, sia appunto con questo rigoroso intreccio di punti di vista sullo spazio ben definito che nobilita “L’intrusa”.

 

L’INTRUSA

(Italia . Svizzera – Francia, 2017) regia: Leonardo Di Costanzo – sceneggiatura:Leonardo Di Costanzo, Maurizio Braucci, Bruno Oliviero – Fotografia: Hèléne Louvart – scenografia: Luca Servino – musica: Marco Cappelli e Adam Rudolph – costumi: Loredana Buscemi – montaggio: Carlotta Cristiani.   Interpreti: Raffaella Giordano (Giovanna), Valentina Vannino (Maria), Martina Abbate (Rita) – Flavio Rizzo (il preside) – distribuzione: Cinema – durata: un’ora e 35 minuti

 

 

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