30 anni da regista


di Antonella Pina
Enrico Oldoini ha esordito con “Cuori nella tormenta” nel 1984. Da allora ha fatto la storia della commedia italiana a cavallo del millennio.
ENRICO OLDOINI È NATO ALLA SPEZIA MA HA STUDIATO A ROMA, ALL’ACCADEMIA d’arte drammatica, perché l’attrice Marta Abba, vicina di casa della madre, aveva convinto tutti che avrebbe potuto fare l’attore. La sua prima interpretazione risale agli anni ’70, era Mandrilluccio da Cortona nel film Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno di Bitto Albertini: “…ero bravino ma infelice, avevo capito di non essere nato per fare l’attore”. Non abbandonò il cinema e insieme all’amico Franco Ferrini prese a scrivere sceneggiature. Il primo lavoro importante è stato Così come sei di Lattuada. Nel 1984 passa alla regia e dirige Cuori nella tormenta, poi con De Laurentiis realizza, non senza riserve, alcuni film di grande successo commerciale, i cosiddetti cinepanettoni. Oggi si dedica prevalentemente alla televisione. In questi giorni sta girando Il restauratore con Lando Buzzanca, la seconda stagione, ed è al ritorno da un’ intensa giornata di riprese che ci dedica un po’ del suo tempo.
«Sono giornate intense, realizzare cose per la televisione è faticoso. Quando fai del cinema giri due o tre minuti di montato al giorno, qui invece arrivi anche a tredici minuti. Devi sempre correre, è faticoso ma divertente. Posso dire che oggi faccio “felicemente” televisione perché mi permette di rilassarmi, di raccontare storie con momenti romantici, drammatici, comici, senza l’ossessione di dover far ridere il pubblico ad ogni costo. Sono cose semplici ma si avvicinano un po’ al cinema che avrei voluto fare».
Il cinema che avresti voluto fare assomiglia a Cuori nella tormenta?
Sì, a quello ma anche a 13dici a tavola. Cuori nella tormenta è un film a cui sono particolarmente legato. E’ stato il mio esordio alla regia, volevo assolutamente farlo e volevo girarlo alla Spezia, dove sono nato e dove sono i miei ricordi. Mi è piaciuto vestire Verdone con la divisa da Ufficiale di Marina perché era la divisa che indossava mio padre. Verdone in realtà era un sottoufficiale, però la divisa è la stessa. Insomma era una storia che aveva un forte legame con il mio passato, ma purtroppo non ho avuto molto successo con i film in cui mi riconosco, con i film che mi assomigliano. Quando uscì Cuori nella tormenta piacque poco, poi con il passare del tempo è diventato un cult, è stato trasmesso molte volte in televisione. Comunque non è mia abitudine voltarmi indietro, rivedere i film che ho fatto, preferisco guardare avanti e pensare al futuro.
E i cinepanettoni?
Quando ho iniziato a farli non si chiamavano ancora così! Aurelio De Laurentiis aveva litigato con i Vanzina e propose a me di girare uno di questi film natalizi. Accettai l’incarico perché riuscii a strappargli la promessa che, in seguito, avrei potuto realizzare altre cose, film più personali, anche se di minor successo. Ero un ingenuo e credetti alla sua promessa, poi le cose sono andate diversamente. I cinepanettoni sono film che incassano molto, mi hanno reso famoso ma mi hanno consacrato a un genere che non mi appartiene. Io preferisco andare a vedere quelli di Parenti e dei Vanzina, sono più bravi di me nel fare queste cose. Però è stato un periodo divertente.
Quando leggi i giudizi di una parte della critica, sprezzanti nei confronti dei cinepanettoni, come ti senti?
Quando ero più giovane soffrivo parecchio, le critiche negative mi ferivano. Oggi non mi toccano, penso di essere abbastanza vecchio per poter fare in pace il mio lavoro e le cose che comunque mi divertono.
Vai ancora al cinema con piacere?
Sono andato al cinema tutta la vita, fin da ragazzino, e ho conservato la sensazione di vivere una magia fantastica, ogni volta. Mi piace la commedia all’italiana: è stato un momento incredibile per il nostro cinema. I film erano divertenti ma avevano una struttura narrativa importante, i personaggi possedevano una grande dignità, erano veri ed erano veri i loro sentimenti. Sognavo di poter fare quel cinema ma non ci sono riuscito. Oggi si fanno cose più facili che mirano soprattutto alla risata grossolana e io faccio fatica, non mi sento a mio agio. Mi è piaciuto il film di Scola, Che strano chiamarsi Federico, perché dentro c’è il cinema che amo, generalmente però le cose che preferisco vedere sono i film d’azione, le americanate.
Un esempio?
Avatar, la grande favola del cinema americano. Gran Torino di Clint Eastwood era molto ben raccontato, un bel film popolare. Anche con Django mi sono divertito molto.
Con Sorrentino e Garrone si può parlare di un nuovo cinema italiano?
No, non credo che abbiano rilanciato il cinema italiano, così come Almodovar non ha rilanciato il cinema spagnolo. Sono fenomeni isolati, due perle, due mosche bianche. In passato, quando un cinema italiano esisteva davvero, era grande anche il cinema minore, perché c’erano molte ottime professionalità e una cultura cinematografica. Oggi non sento nessuna corrente che sia abbastanza forte, abbastanza adulta. Credo che il nostro cinema sia ancora un po’ sguarnito. Il modo di raccontare di Sorrentino mi piace molto. Le conseguenze dell’amore era un bel film. La grande bellezza ha momenti magnifici, anche se non tutto mi è parso bello. Quando vedo un film non deve necessariamente piacermi dalla prima inquadratura all’ultima, è sufficiente che riesca a portarmi a casa qualcosa, un’emozione, un po’ di divertimento. Certo, quando guardo Vittorio De Sica o Rossellini è diverso, lì mi godo ogni fotogramma.
Siamo alla domanda di commiato: hai qualche progetto per il futuro?
Come ho detto, ora mi diverto a fare televisione, ma qualche piccolo progetto nel cassetto c’è ancora, c’è ancora qualcosa che mi piacerebbe fare. Non risponderò ad altre domande: non vi dirò mai di cosa si tratta!

Postato in Numero 100, Registi.

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