Intervista a Giuseppe M. Gaudino


giuseppe gaudinoMercoledì 23 novembre al Castello d’Albertis/Museo delle Culture del Mondo per la 20a edizione del Missing Film Festival è stato proiettato il film di Isabella Sandri e Giuseppe M. Gaudino Per Questi stretti morire (cartografia di una passione), con successivo incontro degli autori con il pubblico presente in sala.

L’opera rende omaggio e ricostruisce in modo originale e volutamente frammentario la vita di Alberto Maria De Agostini (fratello di Giovanni, il famoso editore, cartografo e geografo italiano), prete missionario che nel 1910 partì per esplorare la Patagonia e la Terra del Fuoco.

Contrariamente a quanto si possa pensare, il film «non né un documentario, né una fiction, né una biografia, ma un viaggio interiore che s’impegna a esplorare l’anima di De Agostini, utilizzando tutti i linguaggi possibili e necessari» come afferma la regista Isabella Sandri durante la presentazione.

In effetti, la pellicola risulta estremamente ricca e variegata di forme e di linguaggi cinematografici, in quanto alterna spesso le parti recitate al materiale d’archivio, le riprese dei paesaggi in cui è stato De Agostini a delle scene al limite del surreale che utilizzano la tecnica del passo a uno.

Il film, oltre a viaggiare nell’interiorità del suo “protagonista”, racconta della testimonianza fotografica e cinematografica che De Agostini fece delle ultime popolazioni indios, collegandosi così con il tema più amplio dei popoli scomparsi: «la nostra emozione è stata fortissima quando abbiamo ricevuto i quaderni dei bambini indigeni, un’emozione che abbiamo voluto comunicare attraverso le immagini perché i testi da soli non potevano bastare», racconta Isabella Sandri.

Utilizzandolo come materiale di repertorio, i due autori hanno reso omaggio anche al documentario di De Agostini sugli indios, Terre Magellaniche del 1933, evidentemente «colpiti dalla sua modernità, dal fatto che l’esploratore chiese agli indios – i quali avevano ormai adottato un modo di vivere “moderno” – di mettere in scena lo stile di vita dei loro padri e dei loro nonni» (Sandri), seguendo forse la scia di Robert Flaherty, che nel 1922 per Nanook From the North fece la stessa richiesta agli eschimesi.

Inoltre, Per Questi stretti morire (cartografia di una passione) non esclude tematiche anche più metafisiche e filosofiche, in quanto «si confronta con l’idea della morte e del raccordo con un passato frammentario che non c’è più» come afferma l’autore Giuseppe M. Gaudino.

Così l’opera in questione risulta piuttosto complessa e stratificata nei suo ampli orizzonti tematici e linguistici. A confermarlo sono gli autori stessi, i quali non nascondono quanto la lavorazione sia stata lunga e faticosa, durata quattro anni in tutto, tra diverse ricerche e modifiche.

Al termine della proiezione e del dialogo con il pubblico, ho incontrato per una breve intervista il regista Giuseppe M. Gaudino, con cui si è parlato sia del film presentato che del cinema italiano in generale.

Sia lei che Isabella Sandri avete realizzato cortometraggi, documentari e lungometraggi di finzione. Nella diversità dei film realizzati avete un’idea di cinema fissa oppure ogni progetto vale in se stesso?
Ogni film realizzato ha per noi una sua idea e una sua matrice. Ad esempio Storie d’armi e di piccoli eroi ha uno sguardo diverso rispetto a Per questi stretti morire (cartografia di una passione). Mentre nel primo caso il nostro obiettivo era quello di assistere agli avvenimenti in corso, nel secondo, invece, la nostra intenzione era di far rivivere una memoria andata perduta, quella di Alberto Maria De Agostini. La scelta di far spesso ricorso al passo a uno è stata fatta proprio per dare vita ad un luogo più mentale che reale.

Infatti, molte parti del film, soprattutto l’ultima, appaiono molto oniriche.
Sì, esattamente. È proprio il modo con cui i diversi concetti presenti nel film vengono uniti e messi insieme ad essere molto vicino al sogno. Non è un caso che invece di realizzare delle classiche interviste con delle testimonianze più o meno dirette, abbiamo preferito usare delle metafore. In tal modo volevamo rendere più comunicativo il nostro lavoro. Anche le riprese attuali dei paesaggi che a suo tempo filmò lo stesso De Agostini e le parti recitative dei due pseudo assistenti vanno in questa direzione.

Lei ha fondato una sua casa di produzione, la Gaundri Film. Può parlarci di tale esperienza?
La nostra è una casa di produzione indipendente, siamo in due, io e Isabella Sandri.
Il nome nasce proprio dall’acronimo dei nostri due cognomi: Gau sta per Gaudino, mentre Dri sta per Sandri.

Personalmente mi occupo di cercare i finanziamenti per i nostri progetti, chiedendoli sia ad enti istituzionali che privati.

Essere indipendenti porta certamente il vantaggio di portare avanti senza eccessivi compromessi le proprie idee, ma comporta anche una maggiore difficoltà a trovare una distribuzione.

Qual è secondo lei il problema maggiore dell’attuale cinema italiano?
Indubbiamente uno dei maggiori problemi che affligge la cinematografia italiana è la paura che certi produttori e distributori hanno della creatività. Notiamo che molti di loro richiedono un cinema molto lineare e rassicurante, ma quando si è dei veri e propri autori non è sempre possibile rispettare tali richieste.

Inoltre, c’è un appiattimento sia sui temi che su questioni tecniche. Ad esempio è molto difficile e problematico rappresentare gli anziani – e il film di stasera in qualche modo parla degli anziani – e spesso vengono fissati dei limiti standard per la durata di un film.

I distributori e i produttori commettono l’errore di credere che ci sia solo un tipo di pubblico, senza rendersi conto che invece esistono diversi tipi di spettatori, che richiedono diversi tipi di cinema.

In questo senso il documentario ultimamente sta rispondendo molto bene, mentre la fiction sembra avere qualche difficoltà in più.

(di Juri Saitta)

Postato in Interviste, Numero 96.

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