Super Abrams


super 8Se c’è una cosa che è difficile far capire agli assediati nel fortino ormai indifendibile del cinema cosiddetto d’autore è che il cinema più bello del momento si fa in televisione. Da The Wire a Mad Men, la tv ha prodotto il cinema più appassionante degli ultimi anni (la cui onda lunga per una volta si è avvertita positivamente anche in Italia con l’ottimo serial Romanzo criminale). Questo per dire che una figura come quella di J.J. Abrams sino a qualche anno fa sarebbe stato del tutto impensabile. Deux ex machina di Lost, la più grande e complessa opera di decostruzione di massa che nel corso di sei stagioni imperdibili ha reinventato il rapporto tra avanguardia e fruizione di massa – una roba che nemmeno i postmodernisti più radicali hanno osato immaginare – J.J. Abrams poco alla volta si sta rivelando anche cineasta a tutto tondo. Con una filmografia che sfida qualunque politica autoriale, anche se ne è paradossalmente l’espressione più radicale immaginabile oggi, il produttore e regista attraverso una serie di film estremamente diversi tra loro come Cloverfield, Mission Impossible III e Star Trek ha dimostrato non solo di conoscere alla perfezione i meandri dell’immaginario collettivo come forse solo Steven Spielberg prima di lui, ma, proprio come Spielberg, evidenzia anche un’acutissima sensibilità filmica e strategica in grado di riorganizzare drammaturgicamente e mitopoieticamente materiali che sono davanti agli occhi di tutti. Per cui stare a lamentare che Super 8 è un calco spielberghiano è un’operazione critica completamente priva di senso. Abrams mette in scena l’intero paradigma del cinema americano così come questo si è andato affermando a partire da La notte dei morti viventi in poi. Con una consapevolezza politica degna di Joe Dante, Abrams non solo ci restituisce un sapore di cinema che avevamo perso (le luci di Larry Fong ricordano quelle dell’immenso Vilmos Zsigmond) ma mette in scena le tappe attraverso le quali il cinema americano si è andato progressivamente trasformando a contatto con una realtà sempre più militarizzata. Come in un racconto iniziatico che riguarda tutto il cinema americano, Super 8 è la storia di una vocazione che diventa consapevolezza politica. La precisione attraverso la quale Abrams lavora spazio e inquadrature è la prova inconfutabile che al fondo del miglior cinema americano pulsa sempre un classicismo (modernista…) insopprimibile. Come dimostra anche l’ottimo Cowboys & Aliens di Jon Favreau, ma questa è un’altra storia.

(di Giona A. Nazzaro)

Postato in Fight Club, Numero 94.

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