La posta di D.O.C. Holliday (93) – La guerra di Clint

Buona sera, sono Rimassa Mauro. Come sta? Spero bene e spero di vederla presto.
Che ne pensa degli Oscar?
Di recente ho visto in tv due film(s) di Clint Eastwood – Changeling e Flags of our fathers – che mi hanno impressionato favorevolmente, specialmente il secondo. A proposito di quest’ultimo volevo chiederle, se lo ha visto, cosa ne pensa e se è attendibile la ricostruzione di quell’episodio della seconda guerra mondiale.
Cordiali saluti.
Mauro Rimassa


La ringrazio della sua lettera. Le domande sono due. Comincio dalla seconda, che mi sembra la più interessante. Per risponderle ho attinto ampiamente a due fonti: a) Wilkipedia per quel che riguarda la battaglia, evocata nei film “Flags of our fathers” e “Lettere da Iwo Jima”; b) l’ottimo libro su Clint Eastwood del mio amico Alberto Castellano, che lo ha recentemente ampliato e aggiornato arrivando ad esaminare tutti i film sino ad “Hereafter”compreso. Le ricordo che la battaglia di Iwo Jima iniziò il 19 febbraio 1945 e terminò il 26 marzo dello stesso anno (anche se ci vollero altri due mesi per eliminare tutte le sacche di resistenza dei giapponesi). Iwo Jima significa l’“Isola dello Zolfo”, fa parte dell’arcipelago di Ogasawara e si trova a circa 1080 km a sud di Tokyo, a 1130 km a nord di Guam ed a circa mezza strada tra Tokyo e Saipam. L’ostinazione degli americani nel conquistarla era determinata dal fatto che, insieme ad Okinawa era di fondamentale importanza strategica per ospitare i bombardieri pesanti in grado di bombardare il Giappone. Consapevole di ciò i giapponesi vi concentrarono 25.000 uomini (22.000 secondo altre fonti) agli ordini del generale Tadamichi Kuribayashi, nato il 7 luglio 1891 e morto a Iwo Jima il 26 marzo del 1945, data citata in precedenza come termine della resistenza organizzata da parte giapponese (sembra che egli si sia suicidato ma la cosa non è sicura). Complessivamente le forze assalitrici americane, comandate dal famoso ammiraglio Raymond A. Spruance, ammontavano a circa 100.000 uomini, fra cui almeno 70.000 Marines, appoggiati da una imponente forza aereonavale. Il generale Kuribayashi, che sembra fosse persona di valore (era stato vice addetto militare a Washington; per due anni viaggio attraverso gli Stati Uniti portando a termine un’ampia ricerca militare e industriale e fu anche per un breve periodo studente ad Harward) impostò lo scontro come un’ imponente battaglia di logoramento. Allontanata la popolazione civile egli fece scavare un complesso sistema di gallerie. La battaglia durò un mese e mezzo e fu terribilmente sanguinosa: la guarnigione giapponese venne quasi completamente annientata (i prigionieri furono solo 1.083). Dal canto loro gli americani ebbero un alto numero di uomini fuori combattimento, circa 26.000. Sostanzialmente mi sembra che Clint Eastwood abbia cercato di restituire quell’immane tragedia nel modo più attendibile. Si fece tradurre dal giapponese molti libri riguardanti il generale Kuribayashi, trovando anche una raccolta di lettere dello stesso generale. Come è noto globalmente la reazione della critica italiana e straniera è stata ampiamente favorevole a questo film, forse ancor più di quanto non lo sia stata nei confronti del precedente “Flags of our fathers”, che racconta la stessa battaglia dal punto di vista degli americani e di cui “Lettere da Iwo Jima” è la logica e schiacciante conclusione. Mi sono soffermato su questo secondo film proprio per un logico processo d’integrazione. Mi pare che anche “Changeling” meriti la stessa rispettosa attenzione, ma qui non ho più spazio per occuparmene come si dovrebbe.
In un’altra occasione avrò lo spazio per rispondere alla sua domanda sugli Oscar, premio “sindacale” al quale ritengo che in Europa si conceda troppo spazio. Personalmente mi compiaccio del risalto dato a “The King Speach”, clamoroso riconoscimento non solo dell’eccellenza del cinema britannico ma anche della convincente autorevolezza della lingua inglese quando è pronunciata da inglesi (o affini).

(di Claudio G. Fava)

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Postato in Numero 93, Posta di Claudio G. Fava.

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